Mi da fastidio commentare a caldo ma e' necessario. Premetto che non mi sono mai schierato a favore di chi vuole imporre la morale per legge. Ho sempre considerato l'argomento una questione culturale, e quindi da condurre nel rispetto delle opinioni altrui.
Non giudico assolutamente il gesto di Monicelli. La mia riflessione parte invece dall'unanime coro che, invece, lo giudica positivamente. Che, automaticamente (ed e' questo che mi sconcerta), cancella ogni alternativa, fosse anche la terapia del dolore fino alla morte. No, meglio togliersi subito il pensiero. In fondo, a 95 anni (la cifra viene spesso citata), che puoi fare di altro?
Spesso si chiede cosa sia la cultura della morte. Esattamente quello a cui stiamo assistendo: l'esaltazione della forza di scegliere la fine, rispetto ad una che viene qualificata indegna.
Sento dire, con compiacimento, che "con quella vitalita' non poteva rimanere in un letto, ha fatto la scelta che ci si aspettava". C'e' un giudizio di valore, sulla dignita' della vita in un letto, che e' destinato a diventare assoluto. Perche' stiamo assistendo ad un coro unanime. Sono forse le stesse le reazioni che abbiamo quando pensiamo ad un suicida "di valore"? Che so': "aveva appena vinto le olimpiadi, era un uomo riservato, ha fatto una scelta che non stupisce".
Perche', rispetto ai vecchi, ai deboli, ai malati, deve essere lodata la possibilita' di suicidarsi mentre ai giovani, ai forti, "ai generatori", no? Perche', quando un ventenne si cala l'inverosimile e si schianta in un fosso, non diciamo che e' anche quella una "scelta di forza, da rispettare"?
Oltre alla *normale* razionalita' del giudizio sulla minore aspettativa di vita, secondo me, a livello sociale c'e anche:
- l'orror vacui della morte, che ci spinge ad anticiparla
- l'idolatrazione della gioventu' e della sanezza
- la pressione di efficientamento da parte della societa' dei consumi
- (e infine, piu' grottesco di tutti) la rivendicazione militante del diritto di scelta
Non sara' che il vecchio inutile, e' meglio che si leva dalle palle, mentre il giovane sarebbe uno spreco? Che ha tanto ancora da produrre e consumare, prima di crepare? Non sara' che la cultura che sta costruendo questo modo di pensare, e' quella utilitaristica, mercantilistica, disumana, che e' alla stessa base degli sfruttamenti delle ingiustizie sociali della ferocia del mondo moderno?
Io, personalmente, rifiuto la valutazione che per un vecchio valga piu' la pena morire, rispetto ad un giovane, "perche' ha meno futuro davanti". Ma, un vecchio, non ha forse piu' ricordi? Ma, la vita, non e' forse, come la cantava uno, ADESSO? Chi lo ha detto che il futuro vale piu' del passato?
Pare sentire da ogni dove: "si e' suicidato, lo poteva fare perche' era vecchio, poteva farlo a testa alta perche' aveva vissuto utilmente", ed e' questo che mi sconcerta. Mi sembra proprio che si esalti l'esempio, si celebri il coraggio, mi sembra, insomma, un trionfo di morte.
2 commenti:
Il post è in gran parte condivisibile. Però io mi sono chiesto, dopo lo scoramento iniziale da spettatore fedele dei film di Monicelli, se fosse giusto che un uomo (di 95 anni o di anche di 25) non possa essere libero di disporre dell'ultimo minuto della propria vita.
Io non ero nella testa (immensa, fantasiosa e cinica) di Monicelli, ma penso che un uomo gravemente malato, per uscire dal suo dolore e decidere di non andare oltre, dovrebbe avere alternative diverse al salto nel vuoto
Che Monicalli sia libero non ci piove. Tra l'altro temo che sia stato piu' un gesto di disperazione di quanto sembri.
Che non ci sia una legge sul suicidio assistito, secondo me, e' dovuto principalmente a due aspetti: uno e' che e' difficile tecnicamente da realizzare, perche' una cosa e' la liberta' di scelta, una cosa sono le condizioni oggettive. Non e' che se una ragazza anoressica mi chiede di suicidarla posso aiutarla. O no? Due e' che il dibattito avviene in un'atmosfera da stadio.
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